The woman in the coffin, di Nathan Long (2021)

In una Londra vittoriana parallela, una serie di misteriosi omicidi turba l’opinione pubblica, mentre lo spettacolo dell’italiano Dottor Malignita e della sua assistente Aurora affascina gli spettatori. Nellie O’Day, artista di cabaret specializzata nell’impersonare ruoli maschili, è convinta che esista un legame fra Malignita e gli omicidi, e crede che Aurora sia in qualche modo lei stessa vittima del sinistro mentalista.

The woman in the coffin è una novella, scritta da Nathan Long e ambientata nello stesso universo di una popolare serie di romanzi (più o meno) steampunk, è un “occult mystery”, a metà strada fra Sherlock Holmes (o forse Sexton Blake) e i vecchi film della Hammer.
La trama è lineare, la prosa agile come sempre, e il volume si legge in una sera – e lascia con la voglia di leggere altre storie come questa.
Nel finale, Long suggerisce l’ipotesi di uscite future, firmate da lui o da Elizabeth Watasin, l’autrice che ha creato l’universo in cui si svolge l’azione.

Una lettura leggera e divertente, con per lo meno un grande personaggio memorabile – e che meriterebbe davvero la propria serie – ed una miscela equilibrata di investigazione, azione ed orrore. Per il costo di 1 euro e 65 in ebook (non esiste edizione cartacea), non possiamo chiedere di più.

(e c’è un link commerciale, qualora voleste spendere 1.65 euro – nel qual caso io riceverò una minima percentuale)

The Climate Book, curato da Greta Thunberg (2022)

Mi sono trovato a domandarmi, leggendo questo massiccio volume di oltre quattrocento pagine pubblicato in Italia da Mondadori, se sia stata fatta una analisi costi-benefici, al momento della pubblicazione, riguardo al mettere in copertina il nome della curatrice, e non semplicemente “Autori Vari”.

Per motivi di una stupidità abissale, Greta Thunberg gode di una pessima stampa presso una fetta del pubblico, e mettere il suo nome in copertina significa giocarsi una parte consistente di lettori – proprio nella fascia alla quale la lettura gioverebbe di più.
O forse no, perché è molto difficile far cambiare idea a chi ha paura di cambiarla.

Ed è un peccato, perché The Climate Book è un ottimo testo, che riunisce una quantità di contributi di ricercatori ed accademici, e fornisce una summa dello stato attuale delle conoscenze riguardo alla crisi climatica in atto.
Ci sono certamente testi migliori sui singoli aspetti del fenomeno, ma non esiste al momento un testo altrettanto buono che copra tutte le basi – la scienza, i dati, i termini tecnici, l’impatto dei fenomeni sulla vita quotidiana, lo stato degli interventi per mitigare gli effetti più catastrofici.
Il tutto scritto in termini molto chiari e diretti, e presentato in capitoli di non più di tre pagine, corredati da numerosi grafici e immagini.

Il volume fa un ottimo lavoro nel presentare in maniera semplice ma non semplicistica il mosaico di cause ed effetti attualmente all’opera – ed è solo acquisendo una visione globale del problema diventa possibile avere un’idea chiara di come sì, ci sia un problema, e sia necessario darsi da fare per risolverlo.

Per coloro che avesero dei dubbi, il testo non perde tempo a farci la predica, e si focalizza sui fatti e sullo stato attuale delle conoscenze.
Vista la rapidità con cui le condizioni stanno cambiando – a fronte del fatto che i nostri amministratori sembrano più interessati a regolamentare i genitali della popolazione che non a garantirne la sopravvivenza a lungo termine – è molto probabile che in capo a cinque anni tutto ciò che c’è qui dentro sia superato.
E forse a quel punto non avremo neanche più il tempo per leggerlo, un libro come questo.

Ma forse, se abbastanza persone lo leggeranno e cominceranno a fgarsi delle domande, avremo una possibilità.

E il post contiene un link ad Amazon, che porterà qualche centesimo nelle mie casse, qualora decideste di acquistare il libro (consiglio il rilegato rigido – per le illustrazioni, eperché l’ebook ha un prezzo ridicolo).

Bloodforged, di Nathan Long (2011)

La seconda uscita di Ulrika la Vampira soffre forse della sindrome del secondo capitolo di ogni trilogia – la necessità di fare da ponte fra l’inizio della serie e la sua conclusione rischia di rendere la trama sfilacciata. In Bloodforged, Nathan Long tiene sotto controllo il rischio mettendo in piedi una trama che fila come un diretto, e che se si risolve in un cliffhanger, è ancora abbastanza tesa da non perdersi il lettore per strada.

In Bloodforged, l’azione si sposta da Nuln, la capitale imperiale nel mondo di Warhammer Fantasy che ha fatto da sfondo per il primo volume, a Praag, una città del nord appena uscita da un lungo assedio, e un luogo della memoria per la protagonista. Il setting aggiunge un sapore vagamente russo alla storia, garantendo una certa varietà. Anche in questo caso, la trama è avventurosa e mescola elementi di intrigo spionistico a situazioni che funzionerebbero benissimo in un vecchio film Hammer.

Lasciate Gabriella e le altre vampire a Nuln, Ulrika deve cavarsela da sola, e Long fa un ottimo lavoro nel presentare un personaggio nel quale gli istinti troppo spesso prendono il sopravvento sulla ragione, e che in assenza di una qualche struttura rischia di fare più danni di quanto non sarebbe consigliabile.
Fra culti innominabili, vampiri paranoici e una minaccia sovrannaturale che rischia di ingoiare l’intera città, gli eventi si susseguono con rapidità, in scenari spesso bizzarri ed inquietanti.

Il finale, annoda i fili dell’avventura precedente, e prepara la conflagrazione finale dell’ultimo volume della serie.
A differenza della Genevieve di Kim Newman, la Ulrika di Nathan Long è meno intelligente (un effetto dell’essere una vampira giovane, a differenza di Genevieve) e meno elegante, e talvolta la sua ingenuità può risultare irritante.
Ma come il precedente Bloodborn, Bloodforged è un colorato baraccone pieno di combattimenti e di mostri, e noi siamo qui per quello.

E come al solito ci sono dei link commerciali in questo post, e in caso di acquisto Amazon mi verserà una minuscolapercentuale. Le regole dicono che vi devo informare.

Costruisci la tua storia una parola alla volta, di Joanne Harris (2022)

Joanne Harris ha venduto milioni di copie del suo romanzo Chocolat, e ha una lunga e solida carriera come narratrice in svariati generi. E quando si è autori di bestseller, prima o poi un manuale di scrittura ci scappa.

Costruisci la tua storia una parola alla volta, che ha per sottotitolo “Dieci consigli di scrittura” nasce da una serie di tweet che l’autrice ha condiviso, su diversi aspetti del lavoro di scrittura.
È perciò un volume estremamente conciso – ma quello non è necessariamente un difetto.
Gli argomenti trattati – in dieci capitoli ciascuno dei quali raccoglie dieci punti – vanno dalle basi assolute (come inizare a scrivere) a cose decisamente più interessanti anche per chi non è proprio alleprime armi (come gli espedienti per mettersi nella disposizione mentale per scrivere). Non manca uno sguardo al mondo dell’editoria.

Il manuale è molto leggero sulle “regole” – e anche questo non è necessariamente un difetto: evitando un atteggiamento dogmatico, la Harris lascia più spazio alla creatività del lettore.

In linea di massima, non esiste un manuale di scrittura che non contenga qualche buono spunto, e Costruisci la tua storia una parola alla volta pur restando un testo semplice, riesce ad avere qualcosa per tutti.
Non è il miglior manuale di scrittura in circolazione (il manuale di Gareth Powell recensito poco tempo addietro è oggettivamente meglio, ma non esiste in edizione italiana) ma potrebbe nascondere fra le sue pagine la soluzione ad un problema che non sapevamo di avere.

Il difetto principale è forse il costo dell’edizione italiana, edita da Garzanti – 19 euro per il rilegato rigido e quasi 11 per l’ebook – ma l’edizione in inglese è decisamente più abbordabile.

In entrambi i casi – in originale o tradotto – qui sopra ci sono i link as Amazon, e devo informarvi, come al solito, che in caso di acquisto Jeff Bezos in persona mi consegnerà qualche centesimo di ricompensa. Siete stati avvisati.

The Sindbad Voyage, di Tim Severin (2013)

Scomparso nel 2020, l’irlandese Tim Severin è stato per gran parte della sua esistenza un avventuriero, specializzato nel ricreare antiche imbarcazioni e provare di prima mano a ripercorrere le rotte di navigatori famosi – San Brendano, Ulisse e, nel 1982, Sindbad, l’eroe dei primi racconti delle Millee Una Notte pubblicati in Europa.

The Sindbad Voyage è perciò un libro in cui convergono due dei miei interessi extracurricolari – da una parte le Mille e Una Notte, libro per cui ho sviluppato nel corso degli anni una piccola ossessione, e dall’altra la narrativa di viaggio e d’avventura.

Sponsorizzato dal governo saudita, nel 1982 Severin affronta un viaggio dall’Oman alla Cina, su una imbarcazione costruita secondo gli antichi criteri della marineria araba – un dhow di media stazza, costruita con legname importato dall’India e senza l’utilizzo di chiodi (perché nei tempi antichi i navigatori arabi temevano che la presenza di un potente magnete sul fondo dell’ocean avrebbe portato alla distruzione di una nave con componenti metallici).

Navigando con strumenti medievali, Severin ed il suo equipaggio (composto di marinai e pescatori arabi, e di fotografi e documentaristi occidentali) usa il racconto delle Mille e Una Notte come filo condutotre, appoggiandosi a mappe recuperate in biblioteche storiche e un sacco di immaginazione.

Il libro forse si dilunga un po’ troppo sul lungo processo di costruzione del vascello, che Severin, con spirito da archeologo sperimentale, descrive nel minimo dettaglio, ma una volta preso il mare, gli eventi prendono un certo ritmo, ed è un gran divertimento.

The Sindbad Voyage comprende una buona selezione di fotografie (venne anche girato un documentario, all’epoca) e parte del testo venne pubblicato nell’82/83 sul National Geographic – e fu proprio nelle vecchie copie del Geographic, recuperate nella biblioteca del mio liceo per fare esercizio d’inglese, che incontrai per la prima volta questo autore.

Probabilmente un interesse di nicchia, ma per chi è interessato alla storia, all’avventura, alle storie di mare o alle Mille e Una Notte è certamente un titolo indispensabile.

Il link qui sopra vi porta alla pagina di Amazon dove trovate la versioen in ebook del libro di Severin, anche se l’edizione cartacea è certamente meglio, per poter apprezzare le tavole illustrate. Nuovo è inavvicinabile, ma è possibile acquistare il volume usato a un prezzo assolutamente ragionevole.
Come al solito, l’acquisto porta qualche ventesimo nelle mie casse, e le regole dicono che vi devo informare. Vi ho informati.

Bloodborn, di Nathan Long (2010)

Bloodborn è il primo romanzo della trilogia di Ulrike la Vampira, parte dei romanzi pubblicati dalla Black Library e ambientati nel Vecchio Mondo di Warhammer Fantasy.
Un tie-in, quindi, per un gioco di ruolo, scritto da Nathan Long, ex sceneggiatore e solido mediano della narrativa d’intrattenimento.

Il mondo di Warhammer è un mondo fantasy a tinte fosche, sospeso a metà fra l’Europa centrale durante la Guerra dei Trent’Anni e i vecchi film della Hammer – a differenza del più frequentato universo di D&D, l’atmosfera è rinascimentale, e deve più a Moorcock che non a Tolkien. Le armi da fuoco si affiancano alla stregoneria, e le forze del Caos, che spesso strizzano l’occhio a H.R. Giger, premono sui confini di un impero corrotto e malfermo.

In tutto questo, l’aristocratica Ulrika Magdova, allevata come un uomo dal padre nelle steppe di Kislev, si ritrova vampirizzata (nel precedente romanzo, Manslayer) e quando i suoi compagni di avventura devono decidere cosa farne, i voti per lasciarla in vita superano quelli che la vorrebbero veder eutanasiata alla svelta.
Ulrika viene perciò presa sotto l’ala della aristocratica Gabriella – che è uscita direttamente da un film con Ingrid Pitt, ed è una sorta di spia per l’aristocrazia dei vampiri (è molto più complicato di così). Toccherà a Gabriella tenere sotto controllo la natura più bestiale della giovane Ulrika, e cercare di farne qualcosa di buono.

Il romanzo ha un ottimo ritmo, e offre non solo azione e orrore – è un fantasy a base di vampiri – ma anche un intrigo politico meno che banale, ed una sorta di indagine poliziesca condotta fra i vicoli ed i salotti di una città in preda a un crescente panico a causa di misteriosi omicidi.

Questa è, ripetiamolo per i distratti, pura narrativa d’intrattenimento, e non ha particolari pretese letterarie – ma è scritta con competenza, è popolata di personaggi interessanti, e passa come un bicchier d’acqua.
Ma ce ne sono altri due, e non sarà certamente un sacrificio leggerli, ora che l’estate si avvicina.

È anche interessante ritrovarsi in quella che è a tutti gli effetti una spy-story, ma ambientata in un mondo fantasy di sapore rinascimentale.

Una nota volante per chi fosse interessato – i tre volumi della Black Library in questa serie non sono più disponibili (cercarli usati può essere un’avventura), ma la trilogia è disponibile in volume unico, col titolo di Ulrika the Vampire, ad un prezzo non proprio amichevole (la Black Library è parte del Games Workshop, e quindi pensano che tutti noi abbiamo la stessa disponibilità economica di Henry Cavill).
Il link ad Amazon, come sempre, garantisce una piccola percentuale al sottoscritto in caso di acquisto.

Captain Moxley and the Embers of the Empire, di Dan Hanks (2020)

A rischio di essere giudicato superficiale, ciò che mi ha spinto ad acquistare il libro, usato, in una copia praticamente intonsa smobilitata dalla biblioteca di Glencoe, Illinois, dove in due anni nessuno ha preso in prestito il romanzo per leggerlo, è stata la copertina. Fatemi causa.

Ambientato nel 1952, il romanzo di Hanks si configura come ciò che Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo avrebbe tanto voluto essere, ma non ci è riuscito.
Siamo nel 1952, e Samantha “Sam” Moxley, già pilota per l’ATA (Air Transport Auxiliary) della RAF durante la seconda guerra mondiale, ha lasciato sbattendo la porta una organizzazione del governo statunitense che si occupa di affrontare il sovrannaturale, per divergenze sull’Operazione PAPERCLIP e le sue conseguenze: lei i Nazisti li ha combattuti, ora non ha voglia di lavorare con loro.
Le vicende la obbligheranno a ritornare sul campo per soccorrere la sorella Jess, archeologa, che potrebbe essere inciampata sulla chiave per aprire i cancelli di Atlantide.

Captain MOxley and the Embers of Empire, che all’origine doveva intitolarsi Ashes of the Gods, è un colossale baraccone avventuroso, zeppo di riferimenti a vari capisaldi del cinema e della narrativa pulp, con una sensibilità più moderna ed un livello di azione a metà strada fra John Woo e Michael Bay.
È esattamente ciò per cui siamo qui, adescati da quella copertina.

Sono 370 pagine che filano come un diretto, e l’importante è non stare troppo a riflettere su certi dettagli – e dimenticare tutto ciò che sappiamo dell’archeologia del mondo classico. Per l’archeologia ci sono eccellenti saggi – ma questo non è un saggio.
È un romanzo in cui prendiamo a pistolettate i Nazisti.
Va bene così.

Unico difetto – il volume si chiude su un cliffhanger grosso come una casa, e a due anni di distanza il secondo volume ancora non si vede.
Ma noi attendiamo speranzosi.

[e questo post include un link commerciale, e se lo seguirete ed acquisterete il volume, Amazon mi verserà una minima percentuale. Siete stati avvertiti.]

Utopia Avenue, di David Mitchell (2020)

Dall’autore di Cloud Atlas e Number9Dream, la biografia fittizia di una ipotetica rock band inglese degli anni ’70 potrebbe sembrare, in prima battuta, molto distante dal quasi-fantasy/più-o-meno-fantascienza per cui Mitchell è noto (forse “famoso” non è la parola giusta).

Ma la lettura riserva delle sorprese – formato nella seconda metà degli anni ’60 da un bassista blues, un batterista jazz, una cantante folk e un chitarrista psichedelico, il gruppo degli Utopia Avenue esiste in un mondo in cui è possibile chiacchierare con David Bowie, passare una serata con Leonard Cohen o con Brian Jones, ma in cui si manifestano anche alcune delle stranezze sovrannaturali (?) che Mitchell infila abitualmente nelle sue storie. E Mitchell è sempre stato affascinato dalla musica, e quello è il primo legame di questo romanzo con il resto dell’opera dell’autore.

E mentre seguiamo le peripezie dei quattro non esageratamente fortunati musicisti, tra Londra, le serate in provincia e poi il successo e l’America, cominciamo anche a scorgere dei contatti con altri lavori di Mitchell – il chitarrista è Jasper de Zoet (discendente del protagonista di The Thousand Autumns of Jacob de Zoet), e la band è rappresentata da Levon Frankland, già comparso in The Bone Clocks. E qualcosa si aggira per le pagine di Utopia Avenue che probabilmente abbiamo già incontrato altrove – a cominciare da Ghostwritten, il primo libro di Mitchell.
Dare la caccia ai riferimenti e ai contatti può diventare una specie di gioco di società da affiancare alla lettura.

Divertente, scritto in uno stile molto diretto (e al tempo presente, per la dannazione dei puristi), interessante per gli appassionati di musica – che ci ritroveranno TUTTI, da Syd Barret a Paul Kantner e Marty Balin – per chi ama le storie alternative e per tutti coloro ai quali piace il non-proprio-realismo di Mitchell, Utopia Avenue fa venir voglia di tirar fuori un paio di vecchi vinili – o una playlist tattica su Spotify – e tornare ad immergersi nel suono di quell’epoca.

[e nel caso foste interessati, qui sopra trovate il link alla pagina autore di Mitchell, dove ci sono tutti i suoi libri, in italiano e in inglese – e sì, si tratta di un link commerciale, e qualora voleste fare un acquisto, Jeff Bezos verrà a casa mia aportarmi un paio di centesimi]

About Writing, Gareth L. Powell (2022)

Un “manuale per scrittori” che non pretende di dettare delle regole, ma offre opzioni apartire dall’esperienza dell’autore, uno dei pilastri della nuova space opera britannica, con quindici romanzi pubblicati all’attivo.

About Writing è una “field guide” con un sacco di buone idee, un sacco di suggerimenti, e che non pretende di rivelare la verità definitiva.
Copre tutti gli aspetti di base, dalla pianificazione del lavoro alla gestione del tempo. Offre dettagli su contratti, agenti, editor. E chiude con una sezione molto personale e autobiografica sul percorso personale di Powell.

Non perde tempo con avverbi e show-don’t-tell, ma in questo modo riesce ad essere un testo di consultazione con una vita abbastanza lunga e non un manuale mordi-e-fuggi.

Eccellente.

Writing the Other, Nisi Shawl & Cynthia Ward (2005)

Un breve saggio basato su un corso, a sua volta nato da una discussione che le autrici affrontarono durante il Clarion Writers Worksho, Writing the Other – a practical approach è una lettura interessante e deprimente al tempo stesso.

L’idea di fondo è che un autore o un’autrice debbono essere in grado di scrivere storie su personaggi diversi da loro, e devono riuscire a farlo in maniera divertente, corretta, e che non risulti offensiva per le altre culture, religioni o stili di vita rappresentati.

Una guida insomma su come evitare l’appropriazione culturale, l’orientalismo e la riduzione degli altri (chiunque essi siano) a macchiette o stereotipi.
Ottimo.
Il volume è breve e molto specifico, ed è costellato di esercizi “alla Clarion” per aiutare il lettore a provare e disinnescare certi meccanismi che – come le autrici sottolineano nella prima pagina – sono purtroppo inevitabili, ma si possono correggere con la pratica.

Ciò che rende deprimente la lettura è proprio la consapevolezza di quanto sia comune e pervasiva la tendenza a ridurre tutto ciò che è diverso da noi a stereotipo – un peccato che, inconsapevolmente, commettono anche le due autrici: il volume infatti, per quanto interessante e utile, è anche completamente americanocentrico, e pare suggerire che sì, tutti abbiamo dei pregiudizi, e questi sono i pregiudizi dell’americano medio.
Se tutti i suggerimenti, i principi e gli esercizi del libro sono perfettamente applicabili a qualunque identità, è anche vero che è necessario lavorarci perché non tutti noi (fortunatamente?) siamo residenti del Maine.

Resta comunque una lettura interessantissima.

[e come al solito c’è un link commerciale ad Amazon, ed io vi devo avvertire che se acquisterete il libro, Amazon mi verserà unapercentuale]